domenica 6 febbraio 2011

Terapia breve strategica avanzata per disturbi ossessivo-compulsivi


Un importante progetto di lavoro attuato al Centro di Terapia Strategica nel corso di questi quindici anni è stato il trattamento breve dei disturbi ossessivo-compulsivi. In linea con la moderna epistemologia costruttivista (Von Foerster 1970, 1973, 1974, 1987; Von Glasersfeld, 1979, 1984, 1995), siamo arrivati a conoscere una realtà operando su di essa, aggiustando gradualmente il tiro degli interventi adattandoli alle nuove conoscenze che emergevano man mano. Questo studio di ricerca-intervento ci ha permesso di preparare protocolli di trattamento specifici particolarmente efficaci nel caso dei disturbi ossessivo-compulsivi.
Inoltre, ci ha fornito maggiore coscienza della realtà sulla quale stavamo intervenendo o, come noi lo definiamo, del sistema "percettivo-reattivo" della persona che soffre di tali disturbi. È stato il processo “risolutivo” a permetterci di conoscere la struttura e la persistenza del problema. L'unico modo per arrivare a capire un problema è attraverso risultati empirici e sperimentali, e non semplicemente tramite osservazioni che producono ipotesi basate su di una conoscenza "a priori". La differenza consiste tra il giungere a conoscere un problema attraverso l'osservazione e giungere a conoscere un problema attraverso il cambiamento.
Se un processo risolutivo funziona per la stessa tipologia di problema con un significativo numero di pazienti, ci permetterà di comprendere la struttura del problema stesso ed il suo funzionamento.
Questa conoscenza acquisita del problema è, naturalmente, non relazionata alle sue cause. Infatti, da una prospettiva Strategica, ciò che dobbiamo descrivere è la conoscenza di come sia mantenuto l'equilibrio patologico e di come continui ad autoalimentarsi.

Conoscere un problema attraverso il cambiamento: risultati empirico-sperimentali
L'immagine strategica dei disturbi ossessivo-compulsivi emersi dai dati empirici è:
-       Una percezione della realtà basata su una fobia che porta il paziente a reagire, attraverso il pensiero, formule o azioni compulsive, nel tentativo di ridurre le sue paure.
-        Le comuni tentate soluzioni adottate da pazienti ossessivo-compulsivi per gestire situazioni di panico totale consistono o nell'evitare quelle situazioni o nell'attuare, compulsivamente, particolari azioni abituali (rituali).
Alcune situazioni, persone, oppure oggetti provocano così tanta paura che vengono completamente evitate. Molto spesso, in questi casi, il paziente chiede un aiuto esterno per controllarle ed avere la certezza di non doverle mai affrontare.
-        Le abituali tentate soluzioni possono essere “riparatorie” o “preventive”.
Ciò significa che siamo stati in grado di individuare due diversi tipi di rituali ossessivo-compulsivi: il primo viene messo in atto per intervenire e “riparare” dopo che è accaduto qualcosa di temuto, così da non sentirsi in pericolo, perciò è orientato al passato; il secondo è incentrato sull'anticipazione della circostanza o
dell'evento spaventevole, in modo da favorire il miglior esito o evitare il peggiore.
Recenti risultati empirico-sperimentali hanno rivelato che esistono due principali varianti delle azioni preventive: rituali razionali-preventivi e rituali propiziatori con pensiero magico. I rituali razionali-preventivi sono azioni specifiche che scaturiscono da una credenza irrazionale e che permettono al soggetto di
prevenire le situazioni che lo spaventano, come il contagio di malattie, la perdita di controllo, la perdita di energia, e così via. I rituali propiziatori sono una forma di pensiero magico strettamente connesso a credi fatalistici religiosi, convinzioni derivate da superstizione, fiducia in poteri straordinari o nella fede, e così via.
Gli atti rituali possono essere compiuti in prima persona dal paziente o possono anche coinvolgere terze persone o l'intera famiglia. Ci sono casi in cui vediamo che per dare sfogo alle azioni compulsive nel modo più rassicurante possibile o per evitare di entrare in contatto con la situazione temuta, il paziente chiede aiuto ai parenti affinchè lo controllino, perché vedano se ha eseguito il rituale nel modo giusto, o per proteggerlo dalla situazione di pericolo. In tali casi è necessario lavorare con la famiglia, la quale diventa inevitabilmente ostaggio del paziente. Questo genere di paziente ossessivo-compulsivo può diventare violento e minacciare i membri della famiglia di suicidio o di autolesione. La famiglia, in questi casi, deve diventare co-terapeuta e rispettare il compito di osservare attivamente senza intervenire.
 Per essere veramente rassicuranti i rituali ossessivo-compulsivi del paziente possono essere attuati seguendo una precisa serie numerica oppure possono essere associati ad un’immagine della mente o ad una specifica sensazione. In altre parole, la struttura dell'atto rituale può essere sia razionale e digitale sia magica e analogica in connessione con la fobia sottostante.
Dopo un pò, le tentate soluzioni eseguite dal paziente ossessivo-compulsivo, diventano patologiche e stabiliscono un sistema che si auto-alimenta, questo perché sia i rituali sia le tattiche di evitamento confermano la convinzione nella fobia di base, che a sua volta incrementa ulteriormente la necessità dei rituali e/o delle strategie di evitamento, e così via. Perciò il paziente si intrappola in un circolo vizioso in continua escalation. Ciò che si poteva considerare liberatorio per il soggetto diventa una vera incarcerazione.
I pazienti arrivano in terapia soltanto quando l'escalation tra la percezione fobica e l'esecuzione degli atti compulsivi li ha portati a vivere una vita impossibile. Prima di questo punto, essi vivono nella convinzione che il rituale sia un buon modo per controllare le proprie paure. Questa è la ragione per cui questi pazienti resitono così tanto al cambiamento.

Capire e sfruttare la logica sottostante
L’immagine metaforica che meglio rappresenta la logica sottostante ai disturbi ossessivo-compulsivi
è resa da un aneddoto di Paul Watzlawick: un paziente ricoverato in un ospedale psichiatrico continuava con il suo rituale “clap clap”, batteva le mani. Uno psichiatra provò ad intervenire chiedendo al paziente: “Perchè fai così?” – “Per mandare via gli elefanti” – rispose il paziente. Il dottore, utilizzando la ‘logica ordinaria’ come
strumento di cura, provò a convincere il paziente a fermarsi, dicendogli “Come puoi ben vedere, non c’è alcun elefante qui” – “Certo, è perché funziona benissimo!” rispose il paziente, facendo uso della sua ‘logica non-ordinaria’ per spiegare ciò che stava succedendo, e intanto continuava a battere le mani.
I rituali ossessivo-compulsivi non sono illogici ma seguono una logica non-ordinaria. Per modificare il loro ‘equilibrio’, quando elaboriamo strategie terapeutiche, dobbiamo entrare nella stessa logica non-ordinaria.
Non si può persuadere un paziente ad eliminare le sue ossessioni o ad interrompere l’esecuzione dei suoi atti rituali attraverso spiegazioni razionali. È invece necessario chiedergli di eseguire ‘meglio’ il suo rituale, suggerendogli ‘un metodo più efficace’ per soddisfare le sue necessità e raggiungere lo scopo delle sue azioni, il che significa riuscire a controllare la sua paura. In questo modo si può penetrare la percezione del paziente e, seguendo la logica sottostante alla sintomatologia ossessivo-compulsiva, insieme
all’utilizzo di un contro-rituale, è possibile riorientarla verso la sua auto-distruzione.
In altre parole, la terapia deve seguire la logica apparentemente insensata che sta alla
base delle idee e delle azioni del paziente, dichiarandogli che ciò che lui pensa e fa è sensato. Quindi, l’intervento procede nel prescrivere al paziente uno specifico contro-rituale prestabilito, presentato in modo che si adatti alle particolari idee ed azioni patologiche ossessivo-compulsive.
Per esempio, se la compulsione è quella di controllare qualcosa per un certo numero di volte, in modo da essere certi che venga fatta perfettamente, la prescrizione, utilizzando la logica numerica del controllo patologico, sarà quella di far eseguire al paziente il suo controllo un preciso e determinato numero di volte, ogniqualvolta egli senta il bisogno di verificare quella cosa.
“Da qui alla prossima seduta, ogni singola volta che compirai il tuo rituale, dovrai ripeterlo cinque volte – non una di più, non una di meno. Potrai evitare di eseguirlo; ma se lo metterai in atto, devi farlo esattamente per cinque volte, nè più, nè meno. Potrai evitare di compierlo, ma se lo fai una volta, devi ripeterlo cinque volte...”. La struttura logica di
questa prescrizione apparentemente semplice corrisponde a quella di un antico stratagemma: far salire il nemico in soffitta e togliere la scala. Il modo di comunicare la prescrizione è qui molto importante. La comunicazione è basata su un’ipnotica assonanza linguistica, ripetuta in maniera ridondante, e su un messaggio post-ipnotico, espresso con un tono di voce marcato.
La struttura di tale tecnica è da leggersi così: se vuoi eseguire il rituale una volta, devi farlo per cinque volte.
Il ‘compito’ assegnato indica implicitamente che il terapeuta riconosce il bisogno di compiere ripetutamente il rituale compulsivo, però allo stesso tempo è lui/lei ad avere il controllo, indicando il numero di volte di esecuzione del rituale. Inoltre, il terapeuta concede il permesso “ingiuntivo” di non attuarlo affatto.
In tal modo il terapeuta assume il controllo della messa in atto del rituale. Il paziente è stato prima condotto dalla sua fobia a compiere ripetutamente tale azione, adesso è costretto a farlo dalla terapia. Ciò significa che il paziente acquisisce indirettamente la capacità di controllare la sua sintomatologia invece di esserne lo schiavo. Se noi riusciamo ad arrivare a questo per mezzo delle prescrizioni, il paziente comincerà a mettere in dubbio la propria percezione, essere totalmente posseduto dalla sua ossessione fobica. Il fatto che egli sia ora in grado di tenere sotto controllo le azioni patologiche seguendo le indicazioni terapeutiche,
significa che ha la possibilità di giungere alla loro completa cessazione. Di solito è ciò che accade. Molto spesso, i pazienti tornano alla seduta successiva dichiarando di avere letteralmente interrotto il processo di ripetizione dell’atto rituale, poichè compierlo significava doverlo ripetere per cinque volte. Rivelano che eseguire i rituali era diventato realmente stancante e confessano che stranamente non hanno più sentito la necessità di metterli in pratica per ridurre la paura, proprio perché questa non si è mai presentata.
Il fondamento logico di tale effetto è quello di assumere la stessa dinamica della patologia persistente. Abbiamo cercato di far ritorcere la sua forza negativa contro se stessa, attraverso stratagemmi escogitati specificamente. In questo modo siamo riusciti a far subire un cambiamento al paziente senza alcuna contrapposizione con la sua posizione precedente, ma semplicemente tramite l’utilizzo di un contro-rituale volto ad interrompere la “dinamica auto-alimentante” del disturbo. Questa tecnica aiuta il paziente a riassumere il controllo sul sintomo.
I pazienti ossessivo-compulsivi cominciano a compiere ripetutamente questo tipo di azioni al fine di possedere maggior controllo della situazione temuta, ma finiscono paradossalmente per essere intrappolati dal sempre crescente bisogno compulsivo di attuarle. Le contromosse che vengono adattate allo specifico rituale compulsivo del paziente indirizzano la forza dei sintomi verso l’auto-annullamento.
Nella fase successiva del protocollo questa prescrizione viene mantenuta e, di solito, il numero di ripetizioni da effettuare viene aumentato. Intanto cominciamo a guidare il paziente ad affrontare direttamente le situazioni temute in precedenza. Quando la terapia funziona bene, la persona vive la concreta esperienza di liberazione sia dalle compulsioni, sia dalle fobie. L’ultimo passo consiste nel fornire al paziente una
spiegazione completa del lavoro svolto ed il suo processo. Intanto, gli si riconosce la responsabilità del successo della terapia, dovuto alle sue capacità ed alle sue risorse.
Nel corso della nostra lunga esperienza di tentativi di elaborazione del miglior trattamento possibile per i disturbi ossessivo-compulsivi, abbiamo escogitato un elevato numero di specifici contro-rituali, utilizzati ad hoc per le differenti tipologie di sintomatologia compulsiva. Così, adesso, abbiamo a nostra disposizione una serie di precise predisposte prescrizioni che hanno rivelato la loro efficacia con le diverse forme di disturbi
ossessivo-compulsivi.
Ad esempio, nel caso delle formule mentali ritualistiche ripetute in modo compulsivo, abbiamo creato stratagemmi basati sulla logica di “uccidere il serpente con il suo stesso veleno. Ricordo il caso di una giovane donna vittima di una serie di pensieri ossessivi ritualizzati. Diverse volte al giorno, principalmente prima e durante alcune azioni di ordinaria amministrazione, soffriva la costrizione mentale di ripetere formule composte di parole o numeri. Questo rallentava tutte le sue attività e la portava a quella che lei stessa
considerava “una tortura mentale”, dal momento che si considerava una persona molto razionale e non poteva accettare l’idea di essere ‘obbligata’ a fare cose irrazionali. In casi del genere viene utilizzato un semplice stratagemma che permette di ritualizzare l’atto, come descritto sopra, seguendo un modello diverso di logica non-ordinaria. Prendiamo possesso del sintomo compulsivo attraverso la sua trasformazione.
È stato dato alla giovane donna questo compito: “Da questo momento fino a quando ci rincontreremo, ogniqualvolta avrai voglia di ripetere una delle tue formule, dovrai pronunciarla al contrario. Potrai farlo tutte le volte che vorrai, secondo le tue abitudini, però partendo dalla fine verso l’inizio. Per esempio, se dirai la parola “uomo”, diventerà “omou”. Così ripeterai nella tua mente “omou, omou, omou…” tutte le volte necessarie.
Se la formula è composta da più parole e numeri, l’esercizio sarà più difficile. In ogni caso, tu possiedi una mente ben allenata, giusto?” Alla seduta successiva, la paziente mi disse che la cosa la sfiniva, ma era molto
efficace, perchè dopo un pò di giorni i rituali erano diminuiti, e, il giorno prima della seduta, si erano verificati soltanto due episodi, immediatamente soppressi dall’attuazione della prescrizione. Ancora una volta abbiamo condotto la patologia all’auto-distruzione.
Un altro stratagemma, usato per pazienti ossessivo-compulsivi che devono recitare preghiere o riti particolari ripetutamente, consiste nel crearne, sulla stessa linea del rito del paziente, un altro più complesso ed elaborato, quindi apparentemente più efficace.
I nostri ultimi risultati empirico-sperimentali dimostrano che contro-rituali preelaborati non sembrano funzionare al meglio con pazienti che mettono in atto ritualipropiziatori razionali- preventivi che hanno lo scopo di prevenire totalmente una situazione fortemente temuta. In quei casi si è dimostrato fondamentale cominciare ad agire sulla loro credenza di base, ovvero, che avere il completo  controllo li proteggerà dalla situazione‘pericolosa’. Ad esempio, i pazienti che temono il contagio di ogni tipo, per prevenirlo si lavano continuamente, puliscono e sterilizzano se stessi, la casa e tutte le altre cose. Ma paradossalmente, è proprio quando tutto è perfettamente pulito e sterilizzato che la paura del contagio comincia a crescere, e con essa aumenta la necessità di compiere il rituale compulsivo. È quando tutto sembra essere “sotto controllo” che il timore raggiunge livelli più alti. Questo perchè a quel punto l’individuo deve stare continuamente all’erta e pronto a mantenere tutto “perfetto”.
In tali casi, dobbiamo cominciare ad insinuare un dubbio: la prevenzione totale, il controllo assoluto, la pulizia o l’igiene completa sono veramente la giusta maniera per ridurre ed infine eliminare questa paura? Quindi, utilizzando domande “discriminanti” guidiamo il paziente a domandarsi se davvero debba temere di più la pulizia totale piuttosto che lo sporco. Per esempio: “Alla fine quand’è che sorge il problema, quando sei sporco o quando sei completamente pulito? Quand’è che senti il bisogno compulsivo di compiere il
tuo rituale, quando sei un pò sporco o quando tutto è immacolato e tu devi proteggere e salvaguardare quella situazione?”. Così, utilizzando domande ad illusione di alternativa e parafrasi, cominciamo a modulare la percezione del paziente, quindi la sua reazione nei confronti della circostanza che provoca la paura. Introduciamo l’idea che “un pò di disordine aiuta a mantenere l’ordine”.
“Da adesso fino a quando ci incontreremo di nuovo, vorrei che tu provassi questo piccolo esperimento, seguendo l’idea che un pò di disordine aiuta a mantenere l’ordine… Ogni giorno devi deliberatamente toccare qualcosa di sporco con il dito, qualcosa che tu sai essere sporco, poi tieni il tuo dito insudiciato per 5 minuti, non un minuto di più, non
uno di meno. Una volta che i 5 minuti sono trascorsi, sei libero di lavarti le mani nel modo che preferisci, proprio come vuoi… ma per 5 minuti, non uno di più non uno di meno, devi tenere il dito sporco… 5 volte per 5 minuti al giorno…”.
Quando il paziente teme il contagio o le infezioni, utilizziamo spesso l’analogia con i futuri re, gli eredi al trono, che erano spesso soggetti ad aggressioni da parte dei traditori ed erano quindi resi immuni a tutti i veleni esistenti. Fin da tenera età venivano sottoposti a piccole dosi di veleno. Ogni giorno la dose veniva aumentata fino a che non arrivava il giorno in cui il futuro re diventava totalmente immune al veleno, e nessun tipo di pozione poteva ucciderlo, neanche se fosse stata versata nel suo calice da un traditore. Sulla base di questa saggezza, al fine di diventare immuni del tutto a qualcosa, e poter avere controllo su
di essa, non la si deve evitare o prevenire, ma al contrario la si deve prendere e sopportare a piccole dosi finchè arriva il giorno in cui non avrà più alcun effetto su di noi. Nella maggior parte dei casi, anche la più ostinata delle ossessioni e delle compulsioni può essere vinta semplicemente ridefinendo la situazione e creando ad hoc una serie di concrete esperienze emozionali-correttive che liberano il paziente dal suo sistema percettivo-reattivo rigido e auto-alimentante.
È questo modello in costante auto-correzione che, con le sue tecniche apparentemente semplici, ci ha permesso di raggiungere straordinari e, in qualche misura, persino sorprendenti risultati. Questo può apparire come qualcosa di magico, ma non è nient’altro che tecnologia avanzat a. Come Clark affermava “… la tecnologia avanzata è nei suoi effettiindistinguibile dalla magia”.